6 mesi di Trump

A 6 mesi dall’insediamento, Trump ha già fatto parlare parecchio di se sulla scena mondiale e ancor di più in patria. Altri nel mondo gli contendono lo scettro dall’audience globale, Nord Coreani in testa ma il Tychoon da bravo showman tiene botta e il bilancio parziale permette di provare a farsi un idea di come andranno le cose in futuro. Un bilancio in chiaro/scuro che però fa sperare per il prosieguo di questa Presidenza. Facciamo un riepilogo dei capitoli principali:

Economia

Donald Trump

Il 45° Presidente degli Stati Uniti, Donald J. Trump.

I posti di lavoro sono aumentati e la disoccupazione è ai minimi dal 2008. In 6 mesi non si può aver agito così a fondo da raggiungere questo risultato. Dunque è in larga parte da attribuirsi alla vibrante e poderosa capacità dell’economia Americana di riprendersi, col tempo anche dai disastri peggiori. Discorso diverso per quanto riguarda il potere d’acquisto degli Americani. Negli ultimi 10 anni è andato calando costantemente e questo trend non può sicuramente essere invertito in così breve tempo.

Per farlo serve un aumento generale delle retribuzioni, che a sua volta può essere ottenuto con un aumento della domanda di lavoro. Al tempo stesso occorre che nei settori dove la competitività è diminuita di più si inverta la tendenza attraverso semplificazioni e razionalizzazioni delle leggi e dei regolamenti. La burocrazia non è un problema solo in Italia, ma dovunque sia troppo asfissiante. Naturalmente gli USA non sono l’Italia e da questo punto di vista stanno molto meglio ma l’allarme è bene che scatti adesso, prima di continuare su una deriva assai pericolosa. E’ sufficiente vedere l’esodo dalla California di numerose imprese per farsi un idea di ciò che vuol dire.

Tax Cuts

Il maxi taglio fiscale annunciato qualche mese fa, va nella giusta direzione. Tuttavia, per avere l’efficacia necessaria, deve essere accompagnata dalle riforme indicate qualche riga fa e soprattutto da altrettanti tagli e risparmi sul bilancio federale. Gli USA soffrono di un deficit pesante e un debito pubblico enorme, eredità degli ultimi 8 anni ma anche di quelli precedenti. Dai tempi di Reagan in poi il Congresso, che decide il budget, ha sempre optato per aumenti di spesa, spesso grazie ai Dem, o non è mai riuscito a fare tagli significativi, con i Repubblicani. E’ un dato che non si può ignorare e un problema che nei prossimi 3 anni dovrà assolutamente essere messo sotto controllo e disinnescato.

Siamo alle buone intenzioni e qualche segnale positivo. 6 politico con un + di incoraggiamento.

Sicurezza

Uno dei cavalli di battaglia in campagna elettorale. Su questo punto bisogna tenere conto dei continui stop avuti dai vari giudici federali di turno, tuttavia sembra che la questione “Travel Ban” sembra stia volgendo a favore del Presidente. La Corte Suprema ha recentemente espresso parere positivo sulla questione e il provvedimento è rientrato parzialmente in vigore.

8 anni di aumento del terrore

C’è da segnalare comunque che negli ultimi 3 anni i rigurgiti di violenza da parte degli insospettabili è aumentato moltissimo, soprattutto in Europa ma anche negli Stati Uniti. I fatti di San Bernardino sono ancora li a dimostrare la pericolosità del fenomeno, mentre in Europa c’è da segnalare il recentissimo caso della bomba artigianale posizionata in un secchio nella metro di Londra.

Gli USA hanno tutte le possibilità di contrastare in maniera efficace il terrorismo a casa propria, ne è prova la totale assenza di attentati sul suolo Americano dopo l’11 settembre, fino almeno al 2009. Occorre però la guardia alta e provvedimenti ben strutturati e presentati meglio, sia all’opinione pubblica che al Congresso che dovrà sostenerli.

Gli ultimi 8 anni sono stati devastanti per la sicurezza dell’intero Occidente, a Trump non si può certo chiedere la Luna in mezz’ora ma almeno un rollback dalla strategia del passato e un miglior controllo delle frontiere si.

Anche qui 6+, con la speranza che si arrivi almeno al 7 entro la fine del prossimo anno.

Sanità

Disaster Care.

Spesa federale esplosa, premi assicurativi più che raddoppiati e la beffa per qualcuno che l’assicurazione l’ha addirittura persa.

Qui si zoppica e parecchio. O per meglio dire, manco si cammina. La questione in realtà si può riassumere facilmente: l’America ha un grosso problema. La sua Sanità non è universale, ne generalista. Personalmente questo è uno dei 2 casi su cui non sono d’accordo con molti dei miei amici Repubblicani che pensano invece che la sanità non debba essere tale.

Perché è meglio un sistema universale e generalista

Da buon liberale, credo che se tutti i membri di una società possono contare su un buon grado di salute, su cure sempre accessibili e generaliste, allora i membri di quella società possono dare il meglio di se ed essere molto più competitivi. L’America in questo senso ha ancora molto da dare: su una popolazione di 300 e passa milioni di abitanti, ci sono poco meno di 50 milioni di poveri, che certo non sono poveri come i poveri di altre nazioni ma certamente vivono situazioni di disagio. Ovviamente molti di questi non possono pagarsi le cure, dunque vivono situazioni precarie in cui è difficile procurarsi un lavoro: se non stai bene e non puoi lavorare è difficile trovare un impiego.

Servizio pubblico, produzione privata

Fate attenzione bene però!! Una sanità universale e generalista NON è necessariamente pubblica o per meglio dire, non è detto che sia lo stato a produrla. Mi viene in mente in questo senso la proposta che il Senatore Ted Cruz fece in campagna elettorale che per brevità chiamerò “Cruz Care”: assicurazioni personali (non Aziendali come adesso), portabili e trasferibili a seconda delle esigenze, in un mercato nazionale anziché dei singoli stati come adesso. Non si tratta di una soluzione definitiva ovviamente ma certamente avrebbe rappresentato un importante passo avanti, a costo 0 per lo stato (che anzi risparmierebbe parecchio su medicare e medicaid). E sicuramente a costi più accessibili per quanto riguarda i premi delle assicurazioni per gli Americani meno fortunati. Meno gente resta senza assicurazione, meno gente avrà bisogno dei summenzionati programmi federali. Se non si arriva all’universalità in questo modo, poco ci manca.

Serve più costruttività

Una nota di demerito va data, fin qui, ai gruppi congressuali del GOP, ancora troppo impegnati a sabotare il Presidente eletto e in carica, oltre che del proprio partito. A molti dei più riottosi, andrebbe ricordato che il momento di suonarle a Trump erano le primarie, visto e considerato che le alternative c’erano (Jeb Bush, Marco Rubio, il già citato Ted Cruz). Ora il Presidente è lui, dunque saggezza consiglierebbe di essere meno ostruzionisti e più collaborativi.

Mi tocca dare un 5, per evidente scarsità di risultati, che non è un 4 perché come già detto siamo all’inizio, c’è ancora molta strada da fare.

Istruzione

In questo caso il tema è rimasto abbastanza da parte, più probabilmente perché le questioni sul tavolo, in questo momento sono ben altre. Anche qui però i problemi non sono da poco, in particolare c’è la questione dei prestiti agli studenti, i cui tassi di interesse sono esplosi negli ultimi 5/6 anni. Non posso esprimermi gran che sulla questione perché purtroppo non ho potuto approfondire molto, posso fare però un ragionamento simile a quello sulla sanità.

Un accesso universale ad un istruzione prodotta dai privati è la chiave per liberare il potenziale inespresso presente in America. Una società dove l’accesso all’istruzione e all’informazione è universale, è una società più competitiva e libera, poiché la conoscenza è il miglior baluardo contro i totalitarismi, le bufale, il complottismo e la stupidità in generale. Bisogna però abituarsi (e questo in realtà vale soprattutto per l’Europa e ancor più per l’Italia) che un’istruzione universale e ancor più efficace non è necessariamente un servizio prodotto dallo stato. Negli USA il concetto di produzione privata della conoscenza è assimilato, è necessario a mio modesto parere, lavorare anche qui sull’universalità. La sfida culturale e programmatica per il GOP è qui e se riuscirà a vincerla non ci saranno Bernie Sanders che tengano.

Impossibile dunque valutarlo su questo tema, di conseguenza NC.

Politica estera e difesa

Corea Nucleare.

Mappa della situazione nucleare Coreana.

E qui si viene al piatto forte che riguarda anche il nostro povero e malandato paese. Si va sempre più affermando l’idea, o per meglio dire la realtà, che quella di Obama sia stata la peggior politica estera di tutta la storia degli Stati Uniti.

I meriti di Bush

9 anni fa, Bush lasciò un mondo che aveva ahimè conosciuto l’orrore dell’11 Settembre e che stava combattendo 2 guerre, entrambe contestate da quella che poi è diventata l’ondata pseudo-pacifista, pseudo-anti-establishment, pseudo-ecologista e profondamente politically correct. Ma queste azioni di politica internazionale avevano uno sfondo politico culturale ben delineato. Il mondo libero, pur con tutti i suoi difetti, resta una creazione di cui andare fieri e che va difesa con ogni mezzo che si renda necessario.

Negli ultimi 8 anni libertà e democrazia sono invece arretrate pericolosamente, lo scontro con il terrorismo islamista radicale si è spostato dal medio oriente (dove è rimasto confinato, Madrid 2004 e Londra 2005 a parte, per tutta l’era Bush) all’Europa e in parte negli Stati Uniti e all’orizzonte si stagliano minacce ancor più gravi come l’Iran mentre è ormai realtà la minaccia nucleare della Corea Del Nord.

Rimediare al disastro Obama

Uscire da un disastro di queste proporzioni è impresa veramente difficile. Non si può chiedere a Trump di farlo in 8 mesi, ma nemmeno in un mandato e probabilmente neanche in 2. Gli effetti delle scelte degli ultimi anni sono infatti ormai quasi irreversibili e occorrerà molto tempo per capirne anche solo la portata e mettere in campo soluzioni efficaci. La bussola però non può che essere quella della libertà e quindi di una riaffermazione dell’identità dell’Occidente e del significato oltremodo positivo che ha avuto per la storia dell’intera umanità.

Detto questo, Trump per le posizioni che ha, per l’elettorato che lo ha eletto, per le sue idee personali non è l’uomo più adatto per questo compito. Ma è comunque il Presidente degli Stati Uniti e se per adesso sembra mancare una vera strategia è comunque vero che sono giunti segnali nella giusta direzione:

  • In Siria Trump, pur non potendo fare molto ormai, ha dato un segnale chiaro ed inequivocabile che gli USA sono sulla scena e che l’epoca del remissivismo Obamiano è finita per sempre.
  • In Corea, Trump affila le armi e prepara i piani per una guerra che lui per primo e noi con lui speriamo non inizi mai. Ma se ci sarà, l’America farà il suo dovere e andrà fino in fondo.
  • Con la Gran Bretagna, storico alleato, prepara un accordo di libero scambio che tornerà comodo ad entrambi e che è l’esatto opposto dell’isolazionismo propugnato in campagna elettorale.

Si può sperare

E’ chiaro che pochi segnali non bastano per capire quale sia la strategia in campo ed è forte il sospetto che questa strategia non esista ancora o che sia solamente abbozzata. I banchi di prova saranno molteplici e probabilmente alcuni di questi arriveranno a breve, Nord Corea in primis. Bisognerà poi vedere come si porrà Trump sul confronto con la Cina, l’assertivismo Russo e le mire egemoniche Iraniane sul medio oriente. Fermo restando che l’accordo voluto da Obama è un altro tassello del disastro creato in medio oriente dall’ex Presidente.

Anche qui, 6+ di incoraggiamento.

Ambiente

Questa è la seconda grande questione che mi differenzia rispetto agli amici del GOP, infatti il sottoscritto a differenza di molti all’interno del partito dell’elefante, è assai convinto che i cambiamenti climatici esistano, siano scientificamente provati e che ne stiamo subendo gli effetti.

L’effetto serra è reale

La spiegazione è semplice, la si riassume in 3 punti:

  1. La scienza ci dice che la Terra è un sistema chiuso. Non entrano e escono quantità significative di materia e quanto all’energia il corpo celeste che fa la differenza è il Sole. L’irraggiamento è mediamente costante anche se sappiamo che ci sono dei cicli di circa 11 anni tra il picco massimo e quello minimo dell’attività solare.
  2. Sempre la scienza ci dice che l’Anidride Carbonica è un gas serra, ovvero che trattiene calore molto più efficacemente dell’Ossigeno e del vapore acqueo. Ci sono altri Gas serra in natura anche se per quanto riguarda la Terra l’unico altro gas di cui tenere conto è il metano. E’ quasi inesistente in atmosfera ma negli ultimi 20 anni il progressivo disgelo delle zone artiche ha permesso a grosse quantità di metano di origine organica di disperdersi e altro ancora si disperderà nei prossimi anni. Il metano è un gas serra 10 volte più potente dell’anidride carbonica.
  3. Infine la Storia, che ci dice che da metà del 700, con la prima rivoluzione industriale, l’uomo sta immettendo in natura enormi quantità di anidride carbonica. La natura, nel corso di svariate ere geologiche, aveva seppellito il carbonio sotto forma di carbone, petrolio e gas nel sottosuolo. Stiamo quindi reimmettendo nell’atmosfera tutto ciò che madre natura aveva tolto al fine di arrivare all’equilibrio di metà 700 e che ha perdurato fin quasi ai giorni nostri. Quasi, perché quest’equilibrio oggi vacilla.

Ragionare di conseguenza

Tetti solari.

La Germania ha numeri record sul solare.

E’ facile a questo punto fare 1+1+1. Se dalla terra non entra o esce materia, se l’anidride carbonica è un gas serra e se la stiamo immettendo nell’aria da oltre 250 anni, è del tutto evidente che qualche responsabilità, come specie, ce l’abbiamo.
Negare questo fatto è miope e controproducente e non serve assolutamente a niente fare finta che il problema non esista o peggio ancora negarlo. Nel GOP sono molto forti le lobby del petrolio e mi rendo conto che non sarà facile, far accettare al grosso dei Repubblicani questa semplice verità.

Un modo per andare nella giusta direzione

Tuttavia è necessario che la parte del partito che sa che le cose stanno in questo modo, si faccia più presente e partecipe nel dibattito interno perché per ora si è visto poco. Ma in aiuto di questi ultimi c’è un fatto altrettanto innegabile. Trump, nonostante il negazionismo sul tema, ha ragione su una cosa: gli incentivi alle eco imprese e le troppe restrizioni non hanno aiutato l’ambiente o lo hanno fatto troppo poco. In compenso hanno reso la vita più difficile (e assai più costosa) alle imprese, che alla fine dal tema “ambiente” non hanno ricevuto gran che.

Probabilmente la chiave per vincere la battaglia contro i negazionisti del problema sta proprio qua. Trasformare la questione ambientale in un opportunità per le imprese. E la strada è facilmente percorribile tenendo sempre bene in testa, come principio cardine, che è grazie al mercato che si possono diffondere in maniera massiva tecnologie verdi. E’ grazie al mercato che le imprese che producono i beni e i servizi del settore possono crescere e prosperare. Ed è grazie al mercato che si creano i posti di lavoro e know how che fanno ulteriormente crescere e sviluppare le tecnologie di cui c’è bisogno per la Terra.

La tecnologia è la chiave

Dunque è poco intelligente applicare incentivi al settore, piuttosto è saggio far competere le aziende (e le tecnologie sviluppate) sullo stesso piano, perché quelle migliori (che sono le rinnovabili, per un sacco di motivi) verrano premiate dal mercato, mentre le altre finiranno in soffitta. Ricordiamoci sempre che l’età della pietra non finì perché erano finite le pietre, ma perché qualcuno inventò il bronzo.

Paradossalmente mi tocca dare su questo tema il voto più alto di tutto il post, visto che anche sul prossimo punto ci sono parecchi problemi. 6,5 per aver rimosso le restrizioni su carbone e petrolio, che come spiegato sono inutili e dannose.

Immigrazione

Travel Ban 2

Il Travel Ban nella seconda versione, quella che esclude l’Iraq dalla lista nera.

Si finisce col botto, il tema su cui Donald ha generato la maggior attenzione sul piano mediatico. Sul “Travel Ban” ho già fatto alcune considerazioni in passato che potete rileggere tranquillamente, quindi riassumo che l’ho trovato un provvedimento presentato male ma giusto nella sua idea di base, visto e considerato che anche il suo predecessore utilizzò un provvedimento simile nei confronti dell’Iraq alcuni anni fa.

I federali e lo staff del Presidente

Vergognoso il comportamento di alcuni apparati del macchina federale Americana, in particolare di alcuni giudici federali che solo supponendo l’islamofobia del provvedimento, lo hanno azzoppato e fatto sospendere in questo lasso di tempo. Ricordo un grande giudice della Corte Suprema, Antonin Scalia, che non si sarebbe assolutamente sognato di “interpretare” un provvedimento che in realtà è chiaro e non ha nulla di discriminatorio verso la religione islamica.

Va detto comunque che lo staff di Trump ha molto da aggiustare in termini di rapporti con i media (che per carità, non facilitano certo il compito) e in termini di presentazione dei provvedimenti.

Muro o non muro?

C’è poi la questione del famigerato muro. Al sottoscritto piace più di tutti il Presidente che “Il muro” l’ha buttato giù. Dunque non vedo di buon occhio una barriera immensa e lunghissima, che costerebbe miliardi di dollari, dividere gli USA da un paese che in definitiva è parte della loro stessa storia. Il tema dell’immigrazione va affrontato in altro modo. Mi vengono in aiuto qui le parole di Papa Benedetto XVI:

“Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra.”

Come si concretizzano le parole di Benedetto XVI? 2 parole: sviluppo economico. E’ qui che la politica estera USA verso i paesi Sud Americani dovrebbe fare un passo avanti. Nei decenni passati gli Americani hanno compiuto diversi errori, alcuni anche tragici. Ma è anche vero che da Reagan (anzi, proprio a partire da lui) in poi, l’atteggiamento delle varie amministrazioni che si sono succedute è cambiato molto.

Vicini e potenziali inquilini

Oggi i paesi latino americani non vengono più considerati “il giardino di casa” come una volta, ma normali vicini con cui cercare di avere rapporti il più positivi possibile. Dunque un grande salto avanti. Adesso però è necessario farne un altro, per rendere finalmente felici i rapporti con i vicini latinos, azzerare il fenomeno migratorio e chissà, forse, un giorno, aggiungere anche alcuni di questi alle altre stelle della bandiera. Del resto Puerto Rico, con il referendum del 2012, ha già deciso di entrare a far parte degli Stati Uniti a tutti gli effetti. E anche se il Congresso non ha ancora ratificato l’adesione, non è escluso che in futuro qualche altro paese possa decidere di seguirne l’esempio.

Dunque prevenire, non curare

La politica migratoria USA dovrebbe quindi puntare a prevenire le partenze, prima ancora che ad arginarle e ci sono tutte le possibilità per farlo: quasi tutti i paesi latino americani sono ormai democrazie stabili (eccetto Cuba, Venezuela e Bolivia), possiedono una numerosa manodopera, pressione fiscale moderatamente bassa e un livello di sviluppo già importante. Serve insistere su questa strada, prestando molta più attenzione sulle crisi che attraversano alcuni paesi (Brasile e soprattutto Venezuela) per prevenire guai seri e inutili destabilizzazioni.

Per ora non si vede quest’importantissimo tassello di una qualsivoglia politica migratoria di successo, si potrebbe poi parlare dell’integrazione degli immigrati regolari già presenti, delle espulsioni dei clandestini e molto altro. A Trump la palla, visto che questo è stato uno dei suoi cavalli di battaglia in campagna elettorale. Per il momento anche qui, molti annunci, qualche fatto, ma non molto altro. Sufficienza molto stiracchiata, voto: 6-.

Voto finale al Presidente Trump

Fare peggio di Obama è molto difficile, specie in politica estera. Ma non si vive di rendita e nella posizione di uomo più potente del mondo non ci si può permettere mediocrità. Siamo direttamente interessati, in un senso o in un altro, dalle mosse degli USA in patria e nel mondo e dunque dopo 8 anni di disastri presentati come vittorie e successi le aspettative non possono che essere alte.

A Trump tutte le attenuanti del caso, in primis il poco tempo trascorso alla Casa Bianca, ma le lancette corrono e c’è tanto da fare. Tra altri 6 mesi potremmo trarre qualche conclusione in più, meglio ancora tra 18 mesi, in concomitanza con le elezioni di metà mandato. Intanto i capitoli su cui insistere e lavorare per bene sono i seguenti: Politica Estera, con particolare attenzione alla polveriera medio orientale e alla Nord Corea, Bilancio Federale e superamento dell’Obama Care.

Voto finale: 6.

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