Regionali 2020: il giorno dopo

Elezioni regionali positive, in generale, ma con risultati sotto le attese, specialmente per quello che sembrava filtrare dai sondaggi. Ottime le conferme di Giovanni Toti in Liguria e Luca Zaia in Veneto. Ottima anche l’affermazione di Francesco Acquaroli nelle Marche a riprova che con le candidature giuste i risultati si ottengono.

Mappa elettorale tratta dal Corriere della Sera.
Mappa elettorale tratta dal Corriere della Sera.

Le sconfitte che bruciano

Ma l’analisi va fatta soprattutto sulle note dolenti: Puglia e Campania. Due candidati già sconfitti in passato, simboli di stagioni politiche passate e oltretutto, specie Fitto, usurati dai propri errori. Mandati a scontrarsi con 2 governatori uscenti in cerca di riconferma e che specie nel caso di De Luca avevano tutto il vento in poppa dopo la gestione della pandemia. Oltretutto De Luca è micidiale con il suo modo di parlare e vola sui social. Proporre Caldoro in pratica è stato come mandare pollicino contro Hulk. Quanto a Fitto, beh, sapete come la penso su di lui. Pensavo che avesse ancora un appeal sufficiente a garantirsi una vittoria, eventualmente risicata, ma il risultato è tale che anche questo nome deve essere definitivamente archiviato e non più presentato all’elettorato.

Toscana, sogno sfumato

Lo dico chiaro e subito a scanso di equivoci. Susanna Ceccardi ce l’ha messa tutta e va ringraziata per l’impegno e la grinta che ci ha messo. Sono stato presente ad un suo comizio a Livorno e quasi mi venivano i brividi quando ha alzato il tono per rispondere ai soliti contestatori dei centri sociali. Tuttavia il problema è stato proprio questo essere molto forte nei toni, toni che ha provato a moderare per cercare di conquistare un elettorato più moderato. Però ormai noi Toscani sappiamo com’è fatta Susanna, sia chi la vota e sia chi la avversa e dunque la percezione è stata quella di un candidato fortemente di Destra, opposto a tutto il resto del mondo di Sinistra ma anche quello moderato e maggiormente di centro. Come conseguenza c’è stato un inevitabile compattamento generale contro di lei.

Giani non ha vinto, ha solo cavalcato l’onda anti-destra che la candidatura Ceccardi ha inevitabilmente suscitato e quindi è in un certo senso una nostra sconfitta. E si, la responsabilità è della nostra coalizione che non è riuscita ad organizzarsi su un profilo diverso per tempo, perché le alternative c’erano. E’ il terzo errore del genere che facciamo: amministrative 2019, Emilia-Romagna 2020, Regionali 2020. Tutte sconfitte dovute a candidature sbagliate, anche perché arrivate con uno dei Centrodestra più forti di sempre a livello nazionale.

L’ennesima lezione da imparare bene

Insomma, per concludere il Centrodestra deve rinnovarsi, istituire le primarie per ogni ciclo amministrativo e per i collegi parlamentari e cominciare a pensare ad una Federazione che integri tra loro le forze che lo compongono. L’obbiettivo deve essere il modello GOP, il Partito Repubblicano Americano. Quanto a ForzaItalia, beh, i numeri sono catastrofici. I sondaggi danno una media del 7% nazionale e in Toscana si è preso un misero 4,15%. Troppo poco per un partito che aspira a tornare ad essere “determinante”. Urge un rinnovamento totale nelle persone e nella linea politica. Congressi Regionali e Nazionale. Non si può più aspettare. Ora o mai più!

Perché voterò NO

Si dibatte ormai da settimane sul prossimo imminente referendum costituzionale e ho scelto da tempo di votare NO al taglio dei parlamentari. O meglio, no a questo taglio, fatto in questo modo. Esistono validissimi esperti che possono spiegare meglio di me le ragioni per cui votare no, in particolare segnalo il piccolo saggio del professor Alessandro Giovannini che potete recuperare qui. Scopo di questo articolo è semmai darvi un punto di vista più personale sul perché, da ammiratore del modello istituzionale USA (in cui i congressman e le congresswoman sono 538 in totale), sono contrario a ridurne il numero.

Un fac-simile della scheda che troveremo alle urne.

1 – La Costituzione si cambia insieme

Ho cominciato a fare politica 4 anni fa ma ho memoria dei fatti che la caratterizzano da molto più tempo e vedo ripetersi sempre lo stesso errore. Anche stavolta, l’ennesima, la costituzione è stata cambiata a colpi di maggioranza. Esattamente come 4 anni fa e le volte precedenti. E poco vale la replica che quasi tutto il parlamento abbia votato a favore all’ultima votazione. Il tema è stato estremamente inflazionato negli ultimi anni. Vuoi per la rabbia e la frustrazione degli italiani nei confronti di una classe politica inconcludente e percepita come fannullona e corrotta, vuoi per la necessità nota da ormai 30 anni di aggiornare seriamente le nostre istituzioni. Il tema è talmente sensibile e foriero di rovesci nel consenso che di fatto molte forze si sono ritrovate a sostenere il SI a denti stretti.

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Il Macigno

Arrivate le ferie estive è per me tempo, finalmente, di “mangiare” alcuni dei libri acquistati durante l’anno e che come sempre non c’è mai il tempo di leggere. Questo specialmente per chi come me ha troppi interessi e troppo poco tempo per coltivarli. Ma Carlo Cottarelli, con il suo libro sul Debito Pubblico, “Il Macigno“, è sempre una lettura piacevole ed estremamente interessante. Avevo già recensito un altro suo libro in passato, “La lista della spesa“, in cui l’economista di Cremona spiegava perfettamente come è fatta la nostra spesa pubblica e come la si può tagliare efficacemente. Un libro attualissimo, ma ancor di più lo è questo, considerando la Pandemia, i nostri conti pubblici e il livello di debito che abbiamo purtroppo raggiunto.

Il libro sul debito pubblico, "Il Macigno", di Cottarelli.
Il libro sul debito pubblico, “Il Macigno”, di Cottarelli.

Perché leggere questo libro

Il libro è di inizio 2018 ma a leggerlo sembra di vedere plasticamente la situazione attuale del paese. Siamo pieni di debiti fino a scoppiare per via della pandemia e in 28 anni di seconda repubblica si sono viste ben poche delle riforme reali che avremmo dovuto mettere in campo. Tra queste, fondamentali efficientamenti per l’abbattimento della spesa pubblica e quindi per la riduzione o almeno il non aumento del debito. Il risultato è che la sopravvivenza del paese è appesa al tenue filo del programma PEPP della BCE, senza il quale “il macigno” ci avrebbe già fatto fare default da un pezzo.

Ma lasciatemi dire che se c’è una lezione che questo libro ci lascia è proprio la ovvietà di ciò che dovrebbe essere un rapporto sano tra stato e contribuenti. Un rapporto dove i contribuenti non chiedono soldi per i propri capricci sociali (cioè vivere a spese dello stato e quindi in definitiva nostre) e dove i politici non si prestano ad assecondare queste voglie malsane per alimentare il proprio consenso.

Viviamo invece in un era in cui questo non solo accade, ma viene considerato addirittura una conquista. E il famigerato reddito di cittadinanza ne è l’esempio perfetto, con i suoi 9 miliardi l’anno praticamente buttati. Tutti soldi che se ne vanno per qualcosa di improduttivo e che difficilmente arriva nelle tasche di chi ne avrebbe realmente bisogno. Il nostro debito è prodotto di soluzioni come queste e di scelte scellerate del passato.

Questo libro spiega quindi quanto costano queste scelleratezze e cosa comporta avere un debito così alto, come si gestisce e come si abbatte. E sfata anche alcuni miti su come farlo, indipendentemente dal colore politico di chi le propone, basandosi sui numeri, sulle leggi economiche e sui precedenti del passato in tutto il mondo.

Il macigno da distruggere e rimuovere

Dunque ecco che ci si pone, come italiani, di fronte ad una scelta fatale. O capiamo che non si può continuare a sperperare soldi pubblici a debito, o falliamo. Perché se fallisce lo stato italiano, falliscono le nostre imprese, le famiglie, gli imprenditori e i dipendenti. Tutti privati di servizi essenziali forniti dallo stato. Uno stato che non avrà più i soldi per pagare nulla. Dobbiamo quindi comprendere bene che la responsabilità fiscale non è un optional. E non importa se qualche paese “frugale” si comporta da stronzo. Non importa la spocchia e l’aria da saputello di qualche primo ministro mittel-europeo. Non sono loro che ci richiamano alla realtà ma le nostre stesse scelte politiche ed economiche degli ultimi 30 anni.

La chiave per il nostro futuro non sta nell’utilizzo del MES e del Recovery Fund, che sono strumenti sconvenienti e potenzialmente delle trappole belle e buone. La chiave è la nostra comprensione e la nostra capacità di apprendere. Se capiamo che un paese migliore parte dalla maggior responsabilità che ognuno di noi deve a se stesso e al prossimo, forse otterremo davvero una classe politica migliore, una che non ci prenda in giro con Reddito di Cittadinanza o altre misure simili. Sta a noi capire che la soluzione al problema non è lo stato. Lo stato, con le sue spese e i suoi debiti, è il problema.

Mi auguro che questo libro aiuti a capire almeno chi sceglierà di leggerlo.