Il Macigno

Arrivate le ferie estive è per me tempo, finalmente, di “mangiare” alcuni dei libri acquistati durante l’anno e che come sempre non c’è mai il tempo di leggere. Questo specialmente per chi come me ha troppi interessi e troppo poco tempo per coltivarli. Ma Carlo Cottarelli, con il suo libro sul Debito Pubblico, “Il Macigno“, è sempre una lettura piacevole ed estremamente interessante. Avevo già recensito un altro suo libro in passato, “La lista della spesa“, in cui l’economista di Cremona spiegava perfettamente come è fatta la nostra spesa pubblica e come la si può tagliare efficacemente. Un libro attualissimo, ma ancor di più lo è questo, considerando la Pandemia, i nostri conti pubblici e il livello di debito che abbiamo purtroppo raggiunto.

Il libro sul debito pubblico, "Il Macigno", di Cottarelli.
Il libro sul debito pubblico, “Il Macigno”, di Cottarelli.

Perché leggere questo libro

Il libro è di inizio 2018 ma a leggerlo sembra di vedere plasticamente la situazione attuale del paese. Siamo pieni di debiti fino a scoppiare per via della pandemia e in 28 anni di seconda repubblica si sono viste ben poche delle riforme reali che avremmo dovuto mettere in campo. Tra queste, fondamentali efficientamenti per l’abbattimento della spesa pubblica e quindi per la riduzione o almeno il non aumento del debito. Il risultato è che la sopravvivenza del paese è appesa al tenue filo del programma PEPP della BCE, senza il quale “il macigno” ci avrebbe già fatto fare default da un pezzo.

Ma lasciatemi dire che se c’è una lezione che questo libro ci lascia è proprio la ovvietà di ciò che dovrebbe essere un rapporto sano tra stato e contribuenti. Un rapporto dove i contribuenti non chiedono soldi per i propri capricci sociali (cioè vivere a spese dello stato e quindi in definitiva nostre) e dove i politici non si prestano ad assecondare queste voglie malsane per alimentare il proprio consenso.

Viviamo invece in un era in cui questo non solo accade, ma viene considerato addirittura una conquista. E il famigerato reddito di cittadinanza ne è l’esempio perfetto, con i suoi 9 miliardi l’anno praticamente buttati. Tutti soldi che se ne vanno per qualcosa di improduttivo e che difficilmente arriva nelle tasche di chi ne avrebbe realmente bisogno. Il nostro debito è prodotto di soluzioni come queste e di scelte scellerate del passato.

Questo libro spiega quindi quanto costano queste scelleratezze e cosa comporta avere un debito così alto, come si gestisce e come si abbatte. E sfata anche alcuni miti su come farlo, indipendentemente dal colore politico di chi le propone, basandosi sui numeri, sulle leggi economiche e sui precedenti del passato in tutto il mondo.

Il macigno da distruggere e rimuovere

Dunque ecco che ci si pone, come italiani, di fronte ad una scelta fatale. O capiamo che non si può continuare a sperperare soldi pubblici a debito, o falliamo. Perché se fallisce lo stato italiano, falliscono le nostre imprese, le famiglie, gli imprenditori e i dipendenti. Tutti privati di servizi essenziali forniti dallo stato. Uno stato che non avrà più i soldi per pagare nulla. Dobbiamo quindi comprendere bene che la responsabilità fiscale non è un optional. E non importa se qualche paese “frugale” si comporta da stronzo. Non importa la spocchia e l’aria da saputello di qualche primo ministro mittel-europeo. Non sono loro che ci richiamano alla realtà ma le nostre stesse scelte politiche ed economiche degli ultimi 30 anni.

La chiave per il nostro futuro non sta nell’utilizzo del MES e del Recovery Fund, che sono strumenti sconvenienti e potenzialmente delle trappole belle e buone. La chiave è la nostra comprensione e la nostra capacità di apprendere. Se capiamo che un paese migliore parte dalla maggior responsabilità che ognuno di noi deve a se stesso e al prossimo, forse otterremo davvero una classe politica migliore, una che non ci prenda in giro con Reddito di Cittadinanza o altre misure simili. Sta a noi capire che la soluzione al problema non è lo stato. Lo stato, con le sue spese e i suoi debiti, è il problema.

Mi auguro che questo libro aiuti a capire almeno chi sceglierà di leggerlo.

Essere Europeisti. O no?

Essere Europeisti, di questi tempi, è una gran bella sfida, specie per i liberali che non si adattano ne al pensiero unico mainstream ne alle sirene del mondo Sovranista. La crisi legata al Corona Virus ha imposto ai vari capi di stato e di governo la necessità di spremere dalle istituzioni comunitarie il massimo. Questo per affrontare la più grande emergenza che l’Europa e il mondo abbiano mai visto dalla fine della seconda guerra mondiale. In confronto, l’11 settembre e la crisi dei mutui sub-prime impallidiscono, specie di fronte alle proiezioni sull’economia che stanno circolando in questi giorni. Dunque come giudicare l’Unione alla luce delle azioni compiute e più in generale delle decisioni prese fino ad ora? E di conseguenza, ha senso essere Europeisti oggi? E in che modo?

La bandiera dell'Unione e in teoria degli Europeisti. Ad oggi rischia di apparire sempre più priva di significato. Ahimé.
La bandiera dell’Unione e in teoria degli Europeisti. Ad oggi rischia di apparire sempre più priva di significato. Ahimé.

Questo, ovviamente, tenendo ben sullo sfondo il pensiero sia dei Sovranisti sia degli Europeisti di professione. Ma mentre i Sovranisti sono molto in minoranza nel mondo dell’informazione e della cultura, gli Eurofanatici dal 1992 in poi, hanno cominciato ad insediarsi nelle redazione dei giornali, dei TG, delle radio e dai primi anni 2000 anche in quelle dei siti di punta e delle testate online. Sono diventati una casta, una élite che pretende di essere considerata dotta e illuminata e che giudica guardando dall’alto verso il basso tutti gli altri. In preda a volte a deliri psichedelici da fare invidia anche al più fatto tra i fatti, sparano previsioni, sentenze, analisi. Ma la realtà si giudica in base ai fatti, fatti che puntualmente gli danno torto.

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